Colori vicini, lontani e lontanissimi.
I colori dicono tutto o non dicono nulla? Quando dico rosso chiunque sa di che colore si tratta, quando dico blu qualsiasi persona sa di che colore si parla. Ma quando dico un rosso che dà nel blu (violetto?) o un blu che dà nel rosso, ognuno immagina un colore che non si può confrontare nella testa di un altro. Il fascino dei colori è proprio questo: la loro determinatezza e allo stesso tempo la loro indeterminatezza, cioè le sfumature che sono appunto un discorso più di qualità che di verità.
Un episodio vero che ho vissuto. Nel ricco Venezuela degli anni Ottanta, in una parentesi di democrazia, il problema era di far votare tutti i cittadini. Ma le popolazioni, in gran parte analfabete, come avrebbero potuto individuare questo o quel partito? Ecco che il partito conservatore si propose come Azul, quello confessionale Blanco, il partito progressista come Rojo, quello della borghesia Naranja. Nessun partito prese il colore Amarillo (giallo). Il Verde fu il partito naturalista a vantaggio dei nativi. Facile a dire ma difficile da “comunicare”. Fatto sta che la popolazione indigena votò massicciamente per il colore Rojo, pretesto poi per invalidare le elezioni. Il rosso in varie lingue vuol dire “bello“ ma per un primitivo (nient’affatto primitivo) vuol dire Vivo/Vita… o meglio Sopravvivenza.
Ora, perché il colore rosso vuol dire ‘fermati’ e il verde ‘via libera’? Questo non ha una spiegazione convincente prima della civiltà dell’automobile. Qui il giallo (o arancione) vuol dire ‘attenzione’. Ma per partire o per fermarsi? Entrambe le cose.
Vero e Falso autentico.
Leonardo: una serie di trasmissioni in televisione ancora in corso ha suscitato un grande interesse di pubblico e un altrettanto dibattito sulla verità storica e la verità romanzesca: in una civiltà però non più letteraria ma visiva. L’inizio è tragicamente fuori ogni possibile fantasia storica. Leonardo è in prigione a Milano con l’accusa di omicidio anzi di femminicidio. Fatto talmente lontano da ogni possibile verità storica che però ha alimentato l’orgoglio dei due sceneggiatori Thompson & Spotnitz che si sono dichiarati orgogliosi dell’assoluta libertà della fantasia creativa. Altre interpretazioni salomoniche hanno sentenziato difendendo la libertà di opinione e della fantasia (che non sono di per sé la stessa cosa) sostenendo che la conoscenza del falso è la premessa per arrivare a conoscere il vero. In realtà questa ricostruzione televisiva è invece pregevole in dettagli, costumi e scelta dei luoghi: l’uso della forchetta a due punte è perfetto ma Ludovico il Moro porta una lunga capigliatura bionda che dovrebbe appartenere a Leonardo e non quel casco di capelli di una nerezza corvina, come è stato dipinto dai pittori di corte. I due erano poi della stessa età, avevano trent’anni, nati entrambi nel 1452, ed erano sicuramente senza barba.
Ma attenzione qui ci vengono incontro le parole di un vero grande falsario Eric Hebborn che finì con il cranio fracassato in una piazzetta romana, probabilmente per uno sgarro a un collezionista camorrista. Eric, non è leggenda, aveva rifatto da studente un piede della Madonna nel cosiddetto Cartone di Sant’Anna. Si tratta di un disegno di Leonardo, ora conservato alla National Gallery che l’incuria di un custode ubriaco aveva guastato, sfiatando un termosifone. Col tempo Hebborn diventò un falsario autentico ed era convinto che per conoscere veramente l’arte bisognasse aver visto (e fare) molti falsi. Non poteva sopportare i troppi critici d’arte che non sapevano nemmeno tirare una linea da A a B. Per questo dichiarava apertamente: “Non sono io che faccio i falsi ma falsi siete voi che dite che i miei quadri sono veri”. Non pensava però che queste parole gli sarebbero costare la vita.