Poesia e Foresta
Ritorniamo da dove eravamo partiti perché ne vale la pena. Cosa hanno in comune la giornata della poesia e la giornata internazionale della foresta, oltre a condividere la data del 21 Marzo? La risposta è Andrea Zanzotto, che tra le mille qualità è stato e rimane altissimo poeta e difensore dell’ambiente. Questa coincidenza calendaristica, oltre a strapparmi un sorriso superstizioso, sembra inevitabilmente suggerire un punto di partenza per una riflessione, eredità di Zanzotto: quella sul rispetto dell’Ambiente e sui cambiamenti climatici. Oggi più che mai Andrea sembra parlarci proprio di questi temi così cari soprattutto a noi giovani generazioni, con i nuovi movimenti ambientalisti che avanzano.
In onore della Giornata internazionale della Foresta ricordiamo dunque il ruolo fondamentale degli alberi per l’ambiente e per la salute, ostacolando anche la diffusione delle malattie infettive visto che l’ambiente danneggiato favorisce epidemie e pandemie. Gli alberi rappresentano un patrimonio da proteggere e ripristinare, e a sostenerlo è proprio l’Onu che sottolinea come ogni anno nel mondo vanno perduti oltre 10 milioni di ettari di foreste. Siamo stati infatti testimoni negli ultimi anni della devastazione delle foreste dettate dall’intervento umano sia direttamente che indirettamente con la crisi climatica: deforestazioni selvagge della foresta pluviale, incendi dei boschi siberiani ed australiani, per arrivare alle nostre foreste abbattute dalla tempesta Vaia nell’ottobre del 2018. Come anche Zanzotto ci dice, il movente di tutto ciò è l’ingordigia dell’uomo con la volontà di fare sempre di più e di consumare sempre di più a qualunque prezzo, senza comprendere che (come si evince dall’ultima raccolta Conglomerati) non solo il paesaggio è fragile ma è anche potente, poiché a sua volta può distruggere l’uomo e forse sopravvivergli in una nuova natura che non lo contempla più. Si rende perciò necessario rivedere i nostri sistemi economici e stili di vita e, seguendo il tema della giornata internazionale della Foresta di quest’anno “Ripristino forestale: un percorso di recupero e benessere”, piantare alberi!
Francesca
Perché il paesaggio?
Nel 1951 usciva la prima raccolta poetica di Andrea Zanzotto, intitolata Dietro il paesaggio. Ognuna delle tre sezione in cui è divisa l’opera – Atollo, Sponda al sole e Dietro il paesaggio – ha al centro i luoghi dell’infanzia e della giovinezza del poeta. Si ritrovano perciò gli scenari di Pieve di Soligo, ma non solo: anche i boschi di Lorna, il borgo di Rolle, il colle del Montello o il fiume Piave. Tutti questi posti meravigliosi compaiono nelle poesie di Zanzotto non soltanto come ambientazioni in cui si svolge il racconto poetico, ma come veri e propri protagonisti dell’opera. Ma perché concentrarsi così intensamente sul paesaggio? In questo, il titolo della raccolta ci viene in aiuto. Oltre che come luogo reale e fisico, il paesaggio è infatti vissuto dal poeta come luogo fittizio di ricordi, memorie e suggestioni. Bisogna guardare appunto a quello che c’è “dietro” al paesaggio, a cosa i luoghi significano per Zanzotto e cosa dicono di lui. Si può dire che il paesaggio diventa l’alter ego del poeta che, tramite esso, esprime il proprio mondo interiore. Ciò ha ancora più senso se si considera il contesto storico dell’epoca. I componimenti per questa raccolta, infatti, sono stati scritti tra il 1940 e il 1948,ovvero negli anni in cui l’Italia era coinvolta nella Seconda Guerra Mondiale – evento che Zanzotto ha vissuto in prima persona, prima come soldato semplicee poi nella Resistenza. In quel periodo, dunque, il poeta si rifugiava mentalmente nel paesaggio natio, quello che ben conosceva e che sentiva come casa, in un luogo e in un tempo non toccato dagli orrori della guerra. Si tratta di un meccanismo di protezione, che si allinea bene anche con le tematiche dell’Ermetismo, corrente letteraria seguita dal giovane Andrea.Come egli stesso ha spiegato in un intervento del 1981: “Nei miei primi libri io avevo addirittura cancellato la presenza umana, per una forma di fastidio causato dagli eventi storici; volevo solo parlare di paesaggi, ritornare a una natura in cui l’uomo non avesse operato. Era un riflesso psicologico alle devastazioni della guerra”.
Beatrice
Zanzotto, il linguaggio e il paesaggio
La lingua usata da Andrea Zanzotto nelle sue poesie può certamente apparire un po’ difficile a primo impatto. Ma questo è sicuramente un atto voluto, soprattuto in Dietro il paesaggio. Come ricordavamo nel primo articolo della nostra rubrica, dopo aver vissuto la Seconda Guerra Mondiale il poeta è alla ricerca di rifugio e protezione, che trova nei paesaggi della sua infanzia, ma anche nel linguaggio letterario dei suoi modelli, di tutti gli scrittori che aveva studiato e conosciuto e che costituivano la sua “famiglia” letteraria. Tra questi, principalmente riconosciamo le correnti dell’Ermetismo e del Surrealismo, così come il simbolismo europeo e l’influenza di Leopardi e Hölderin. Da loro, Zanzotto riprende e sviluppa uno stile alquanto complesso ed erudito che, per esempio, consiste nell’eliminare gli articoli, nell’usare i plurali assoluti, o nell’utilizzare la preposizione “a” in modo indeterminato. In più, il suo linguaggio prosegue per analogie e tramite discorso coordinato (paratassi), senza fare frasi subordinate che renderebbero il pensiero più chiaro. A ciò si aggiungono i termini desueti e prettamente letterari, lontani dalla lingua colloquiale. Ma questa attenzione al linguaggio per Zanzotto non è solo un conforto (un ritorno a ciò che conosce e sente familiare), bensì diventa una ragione filosofica. Infatti, il poeta inizia a considerare il linguaggio come dimensione totale, che dà senso all’esistenza delle persone e dei luoghi: solo l’estrema e difficile letterarietà della lingua può mostrare il distacco con la realtà e quindi rivelare cosa c’è dietro il paesaggio. Dunque un linguaggio volutamente complesso per evidenziare la complessità tra le apparenze e la verità che c’è sotto. Ecco perché linguaggio e paesaggio sono inseparabili e l’uno non può esistere senza l’altro nell’opera zanzottiana.
Beatrice